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Vorrei poter dire quel che merita la qualità del disegno di Carradori avvertendo preliminarmente che l’autenticità di un artista - sia esso pittore o scultore, si verifica nelle capacità del disegno stesso. Mi si faccia un solo esempio in contrario e ritiro la mia perentoria affermazione. Lo dico pensando all’artista che oggi si presenta ai concittadini e lo dico anche riferendomi al non mai dimenticato Arnaldo Battistoni che egli considera come primo maestro e forse scopritore della sua vocazione.
Infatti attraverso la scuola d’Arte di Fano prima e poi dell’istituto per la decorazione e illustrazione del Libro di Urbino, il nostro Carradori ha fatto proprie le possibili conoscenze del mestiere e raccogliere quella passione dell’arte che era la dote spiccata anche di molti suoi insegnanti a Fano e a Urbino.
La convincente prova è nel periodo iniziale dell’artista ove si riflettono le suggestioni di Primo Bidischini (direttore appassionato e rinnovatore coraggioso) e di un docente come il compianto Tullio Zicari.
La storia di un artista è quasi sempre anche la storia di altri e oggi, come sempre, l’approfondimento creativo passa attraverso le occasioni più impensate. Ed eccoci di nuovo a riferirci ad Arnaldo Battistoni che in Urbino fece da maestro severo ed attento alla intensissima attività del concittadino. Debbo aggiungere che mi ha fatto molto piacere quando mi si è presentato ricordandomi l’impagabile amico.
Battistoni aveva l’occhio giusto e la prontezza del giudizio e non era certo di bocca buona. Aveva capito la qualità di quell’artista giovane che poi ha rivelato la straordinaria personalità.
Carradori nato nella decisiva area del figurativo ha passato poi diversi periodi e chiunque passi davanti alle opere di questa mostra forse potrà anche stupirsi per la loro varietà. Ma si accorgerà che nella diversità delle intenzioni c’è sempre la curiosità di provare. lo ricordo d’aver visto, anni addietro, proprio nella nostra città un certo numero di sue sculture all’aperto eseguite con i materiali più poveri che si potessero immaginare. Ora non più giovanissimo Uberto Carradori tratta con decisa maestria il colore inserendolo come complemento nobile del disegno. Forse nel suo interesse creativo sono state decisive le sollecitazioni della cultura della nostra civiltà a cominciare dai mare che con i suoi mutevoli emblemi ha costantemente rinnovato l’intensa capacità di porsi dì fronte ai creato e alle cose grandi ed umili che si è trovato davanti ogni giorno.

Fano, giugno 1993
Valerio Volpini
 
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Gente di mare nei disegni di Uberto Carradori

Il tempo della maturità tende a cancellare quello mitico dell’infanzia e dell’adolescenza; la razionalità e l’equilibrio sfumano la fantasia e la spontaneità: il mondo indiviso del sé si frantuma nel dialogo armonico o conflittuale fra il sé e gli altri o le altre cose.
La perdita dell’unità originaria trova il compenso nel riconoscimento dei valori dell’altro. Tuttavia, al di là delle apparenze, le scienze del profondo riconoscono nell’adulto il deposito irrisolto dell’infanzia; l’artista, fra tutti, è quello che accetta volentieri - ammette perciò lucidamente nella sua opera la parte oscura di sé - il deposito delle memorie che diventano simbolo.
Carradori, nel tentativo di storicizzarsi allestendo la sua antologica, si rimette in discussione dai suoi precocissimi esordi ad oggi. Lui stesso, rifacendosi alle sue più lontane composizioni, parla di “fantasmi nell’armadio che devono essere esorcizzati nell’esposizione al pubblico”. Ciò costituisce un elemento originale della mostra, che consente di verificare quanto del primo tempo rimanga, o quanto il primo tempo influenzi il segno attuale. Il costante confrontarsi dell’arte con la psicoanalisi, nel Novecento, e di qui l’utopia dell’arte
- soprattutto nelle Avanguardie storiche - di riappropriarsi di un mondo originale e incontaminato, da proporre come progetto estetico, rendono legittima la domanda se mai l’artista sia in grado di riconoscere l’alterità, o piuttosto se ogni volta proponga una sua personale visione del mondo.
L’istituto di Biologia Marina di Fano, come luogo espositivo per una mostra d’arte è nuovo, ma non casuale. Come altre sedi, scelte da Carradori, anche questa contiene un valore simbolico: il mare fra arte e scienza, fra interpretazione e conoscenza, fra esistenza (sintesi) e analisi.
Fin dalle prime opere, prescindendo dai piccoli “Klee” della primissima adolescenza, l’artista fanese, nelle composizioni più libere e fantastiche, nate segno su segno seguendo l’ordine casuale di un cadavere exquis surrealista, pone in evidenza tre elementi iconografici, sovente ricorrenti: l’ala, l’occhio, la radice. Spesso le figure sono racchiuse in uno spazio definito, per lo più circolare. L’ala può essere interpretata come simbolo di fuga, ansia di spezzare i limiti, è un segno d’aria; le radici segnano il basso, il permanente, il nutrirsi dalla terra; l’occhio, posto spesso al centro, corrisponde allo strumento essenziale dell’artista, l’occhio dilatato, che nel pittore riassume tutta la potenzialità sensitiva dell’uomo, rappresenta la percezione del mondo.
Il mare, questo mare Adriatico, che nel passato era identificabile ai Nord con il golfo di Venezia e al Sud come Mediterraneo, spostato verso Levante, ha la sua vera identità al centro, dove si restringe al punto che le due sponde (l’italiana e la dalmata) si potevano guardare nei giorni limpidi.
A parte Ancona e le sue ambizioni di Repubblica Marinara, i porti delle Marche e degli Abruzzi sono porti di pescherecci, e i pescatori non fanno storia. La vita del mare si imprime nella loro memoria, come nella loro carne - nelle mani - e diventa racconto orale mitico o segno inciso.
Carradori ha capito, con un senso umanistico tutto personale, il valore delle tracce che si possono catturare lungo le banchine e i moli del porto. Sarà Io sguardo del vecchio pescatore che di prima mattina raggiunge in bicicletta la spiaggia e si ferma a guardare, saranno le mani delle pescivendole, che verranno percorse dallo sguardo tattile dell’artista e tradotte immediatamente in segni, in disegni che vibrano ancora del gusto grafico della Scuola di Urbino, frequentata nella giovinezza, sotto il magistero di Carnevali, Castellani e Battistoni.
Il mare offre all’artista anche l’occasione di cogliere, nella sua attitudine più spontanea, la forma nuda del corpo, che viene restituita all’arte come gratuità e momento di contemplazione.

Urbino, 30 giugno 1993
Silvia Cuppini